01/06/11

Sound Magazine: recensione di Fiumedinisi

Link: SoundMagazine.it

Ammettiamolo. Diciamolo pure che questa volta giudicare (meglio, esprimere un giudizio) è complicato, tortuoso, arduo. Approcciarsi ad un album così scuro come questo Fiumedinisi dei Marlowe è cosa buona e giusta ma anche tosta.
Leggendo qua e là tra stralci di recensioni già pubblicate il sentore generale tende ad esaltare la poetica del gruppo di Caltanissetta e come dare loro torto?
Scordiamoci i tanto cari (ai più stupidi) testi semplici e proiettiamoci in un mondo fatto di sonorità pacate, di realtà appena sussurrate, il tutto condito da una voce che sembra stanca ma decisamente preziosa, almeno tanto quanto quella di Angela Baraldi (ve la ricordate la protagonista di “Quo vadis baby” di Salvatores?) che nel controcanto di “In fondo alla gola” aggiunge un tocco noir al pezzo rendendolo più greve.

La presenza femminile ritorna anche in “La stanza di Veronica”. Tanto straziante da far rabbrividire, è una perfetta descrizione di dolore regalataci attraverso istantanee di vita: una finestra, una statua, una goccia di pioggia che corre sul vetro e il suono delle distorsioni aumenta lo strazio delle immagini così cariche di angoscia.
Proprio nel mezzo del cammino si inciampa in “The last day swimming”, unico pezzo in inglese. Dopo qualche secondo di silenzio in lontananza si percepisce un barlume di suono, così leggero da sembrare impercettibile. Somiglia più alla lettura di una poesia questo pezzo delicato, fatto di distorsioni in sottofondo e con la batteria che fa sentire sempre di più la sua voce marcando con forza il ritmo sta volta più deciso rispetto ai pezzi precedenti.
“I’m waiting for you let it know” recita la voce profondissima, persa nel suo universo così lontano da noi.
In quanto a distorsioni anche “2 Maggio” si batte bene, ma la novità sta in un inaspettato crescendo sul finale. Ritorna il suono duro della batteria con i suoi piatti pestati con sempre maggior vigore e il suono delle chitarre si fa sempre più intenso e spietato.
Un vago accenno alla timbrica va fatto e, pensandoci su, il paragone con Godano diventa purtroppo inevitabile. Le influenze dei Marlene Kuntz piuttosto che Sonic Youth sono abbastanza evidenti ma non così esplicite e forti per poter parlare di scimmiottamento o copia. I Marlowe riescono a mantenere un loro stile impeccabile distinguendosi dalla massa informe che aleggia sulla musica nostrana. Non hanno bisogno di artifici o banalità mantenendo una certa coerenza e costanza lungo tutto il loro lavoro.
La combinazione di chitarra e voce che ricorre in tutti i pezzi (ancora tra i migliori troviamo “Chiedi al buio”) fa solo da sfondo ai testi che man mano si procede nel viaggio diventano sempre più complessi quanto affascinanti. Non è facile entrare completamente in questo mondo dalle venature così scure, soprattutto per l’attenzione particolare che si deve assolutamente prestare alle parole, che sono dosate in modo quasi maniacale. Nulla è lasciato al caso e tutto tra musica e voci si incastra perfettamente.
Prodotto dalla Seahorse Recordings, il quarto album dei Marlowe è il risultato esaltante delle loro fatiche e del loro impegno, un vanto per questi ragazzotti siciliani che godono dei primi raggi di sole dopo un troppo lungo periodo nell’ombra.

Angela Mingoni

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