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Non si può, perché le trame “desertiche”, bluesy e minimali, l’approccio cantautorale all’americana, il suono tagliente ma poi tenero e riflessivo devono molto, moltissimo all’esempio “basiliano” (e del suo ensamble), ad esempio in album come “Gran Calavera Elettrica”. Mai Perdonati, così, è un disco che viaggia su un convoglio scricchiolante, va lontano e, da lì, manda le sue cartoline grinzose in bianco e nero. Otto ballads elettriche che si scagliano nelle budella dell’ascoltatore e, dopo aver fatto piazza pulita dell’umore nero, finiscono per conficcarsi dirette nel cuore, conquistandolo. La voce di Salvo Ladduca è delicata e narrante. Le chitarre supervisionate da Marcello Caudullo – all’intera produzione artistica – lanciano più di qualche messaggio a Mark Lanegan. Nella country Crowded song compare un pianoforte made in Catania di Marta Collica, e nella western La terza croce c’è l’armonica a bocca suonata da Basile. “Mai Perdonati” è un efficace incontro tra la tradizione americana del rock desertico (Cash) e quella italiana del lirismo cromatico (De Andrè). E’ il racconto affaticato del tempo, è una storia raccontata con una smorfia trattenuta sul labbro. Solo un’etichetta. Solo un’etichetta manca per concludere l’opera. Suvvia! Apriamo gli occhi.
Riccardo Marra
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