08/04/11

Mescalina: recensione Fiumedinisi

Link: mescalina.it

Le canzoni del quarto album dei siciliani Marlowe fluttuano sospese a mezz’aria in una notte liquida di suoni: le undici tracce di questo disco galleggiano cocenti, morbide e desolate in riff gelatinosi e arpeggi dolorosi post-rock (v. la coda di Fino alle ossa, l’intro diChristina, l’onirica e ammaliante 2 maggio), in una ritmica cadenzata, ansiogena e spettrale, molto à la Ulan Bator (che non a caso sono nel passato di Paolo Messere deiBlessed Child Opera, produttore del disco, qui anche a microkorb, vibrafono e cori), in distorsioni magnetiche alt-rock e bassi ctoni.
La metrica dei versi e l’elaborazione delle parole, distillate come lente, rade gocce di sangue ed emozione, è frutto di un raffinato approccio cantautorale, ma i Marlowe sono soprattutto illusionisti che magicamente dalle loro note estraggono la linfa di immagini e colori emozionali, tra amarezza, inquietudini, stati d’animo fermi e soffocanti, disagi e dolori, e la distendono in una tela avvolgente e visionaria, a tratti persino psichedelica, di suoni.

In questo album, registrato nella città del messinese che gli dà il titolo, a volte anche il cantato è soprattutto un suono denso di forza evocativa, parte di un tessuto musicale che intesse un incantesimo-sortilegio struggente, in grado di stringere un nodo in gola di amarezza. L’indie-rock d’autore del quartetto siciliano, intriso di lievi malinconie drammatiche post-rock, rammenta i Perturbazione più oscuri di Canzoni allo specchio, i Piano Magic più sontuosamente rallentati, ancora prima i Dead Can Dance meno ethereal e world, e più dark-wave, e il songwriting folk più notturno (per questi riferimenti esterofili si ascoltino ad esempio The Last Day Swimming, con cantato da crooner, e Dalla terra). Molto notevoli in particolare In fondo alla gola, un abisso di chitarre di velluto con la partecipazione di Angela Baraldi, traccia immersa in tenebre languide ed estaticamente dolenti, come nella contemplazione esausta e immobile dei propri errori, così come la canzone conclusiva, l’allucinata e sofferta La stanza di Veronica, che, da note terse e tragiche di rhodes e cori tormentati, scivola nel pathos teso e violaceo dei synths tra l’infuriare del ritmo e il controcanto musicale accorato della chitarra elettrica.

I Marlowe sono: Salvo Ladduca (chitarre, voce), Alfonso De Marco (basso, voce), Marco Giambrone (chitarre, piano rhodes, mellotron, cori) e Paolo Indelicato (batteria, cori).

Ambrosia J. S. Imbornone

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